Nove associazioni contro il ddl Carfagna. ''Non ci piace''
Netta contrarietà di Asgi, Gruppo Abele, On the Road, Caritas Italiana, Cnca, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Consorzio Nova, Dedalus, Save the Children e dal Comune di Venezia. ''Ok la sicurezza, ma le vittime?''
Lo dicono forte e chiaro: no, il disegno di legge sulla prostituzione del governo italiano non ci piace proprio. E se si vuole dare una risposta al disagio dei cittadini nei confronti di questo fenomeno non ci sono scorciatoie: le esigenze di sicurezza vanno tenute sì in considerazione, ma vanno anche contemperate con la tutela dei diritti delle vittime di sfruttamento sessuale, con il sostegno all'inclusione sociale per chi si prostituisce e vorrebbe un'alternativa e con il contrasto delle organizzazioni criminali. Il messaggio arriva da un cartello di nove organizzazioni che da anni operano nel settore della prostituzione e della tratta (Asgi, Associazione Gruppo Abele, Associazione On the Road, Caritas Italiana, Cnca, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Consorzio Nova, Dedalus, Save the Children) e dal Comune di Venezia, che negli ultimi anni si è distinto per impegno e originalità di interventi. E per meglio sottolineare il messaggio, le organizzazioni hanno inviato al governo italiano un documento ricco di analisi e proposte sul tema, a cui hanno giù aderito più di cinquanta enti, tra associazioni, Regioni, Province e Comuni.
Il punto di partenza del documento è che quel "modello italiano" che ha fatto diventare il nostro Paese un punto riferimento nello scenario internazionale in materia di tutela delle vittime di grave sfruttamento e di tratta deve essere non solo salvaguardato, ma rafforzato. Perché negli anni passati questo modello ha permesso di proteggere le persone sfruttate o vittime di tratta che decidono di uscire dal racket, proponendo loro percorsi di formazione e inserimento sociale e lavorativo. E al tempo stesso ha favorito la denuncia degli sfruttatori e ha rafforzato la collaborazione tra enti locali, associazioni, magistratura e forze dell'ordine. Mentre vietare la prostituzione in strada - come previsto nel disegno di legge - non rappresenta certo una risposta al problema, ma soltanto una misura per spostare le donne in luoghi meno accessibili agli operatori e alle forze dell'ordine
Ecco dunque i punti salienti del documento: la prostituzione non è una questione di ordine pubblico, ma una questione sociale e vietarne l'esercizio in strada è non solo inefficace, ma anche controproducente. E poiché si tratta spesso di una forma di tratta e riduzione in schiavitù devono essere fatti tutti gli sforzi possibili per dare alle vittime possibilità di affrancamento e di tutela. Inoltre, occorre offrire alternative concrete e possibilità di inclusione sociale alle persone coinvolte, dal momento che la prostituzione, soprattutto quella di strada, è esercitata spesso da persone con serie difficoltà economiche e sociali (anche donne italiane) o da persone discriminate che spesso non hanno alternative (come le transessuali). Il ddl, poi, non considera che chi si prostituisce non commette alcun reato, ma anzi è spesso vittima. Insomma, il giro di vite varato dal Governo finisce per avvantaggiare gli sfruttatori, danneggiando le vittime. Particolarmente delicata è anche la questione dei minori che si prostituiscono: perché l'articolo che ne stabilisce il rimpatrio - spiega il documento - ignora le norme internazionali che prevedono che i minori dovrebbero essere rinviati nel loro Paese di origine solo nei casi in cui tale misura corrisponde alla realizzazione del loro superiore interesse.
Tra le proposte delle organizzazioni troviamo invece - oltre a un'applicazione più incisiva della Legge Merlin, dell'articolo 18 del Testo Unico Immigrazione e della legge sulla tratta - un impegno più consistente per la formazione degli operatori che operano sul campo e la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta, che l'Italia non ha ancora ratificato. Accanto a questo il documento auspica l'attivazione di percorsi di inserimento sociale e lavorativo per le vittime, la promozione di attività di mediazione dei conflitti nei territori dove l'esercizio della prostituzione solleva problemi, la realizzazione di maggiori collegamenti con i Paesi d'origine delle vittime di tratta e la speciale salvaguardia dei minori coinvolti in attività di prostituzione. (ap)
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