Nove associazioni contro il ddl Carfagna. ''Non ci piace''
Netta contrarietà di Asgi, Gruppo Abele, On the Road, Caritas Italiana, Cnca, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Consorzio Nova, Dedalus, Save the Children e dal Comune di Venezia. ''Ok la sicurezza, ma le vittime?''
Lo dicono forte e chiaro: no, il disegno di legge sulla prostituzione del governo italiano non ci piace proprio. E se si vuole dare una risposta al disagio dei cittadini nei confronti di questo fenomeno non ci sono scorciatoie: le esigenze di sicurezza vanno tenute sì in considerazione, ma vanno anche contemperate con la tutela dei diritti delle vittime di sfruttamento sessuale, con il sostegno all'inclusione sociale per chi si prostituisce e vorrebbe un'alternativa e con il contrasto delle organizzazioni criminali. Il messaggio arriva da un cartello di nove organizzazioni che da anni operano nel settore della prostituzione e della tratta (Asgi, Associazione Gruppo Abele, Associazione On the Road, Caritas Italiana, Cnca, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Consorzio Nova, Dedalus, Save the Children) e dal Comune di Venezia, che negli ultimi anni si è distinto per impegno e originalità di interventi. E per meglio sottolineare il messaggio, le organizzazioni hanno inviato al governo italiano un documento ricco di analisi e proposte sul tema, a cui hanno giù aderito più di cinquanta enti, tra associazioni, Regioni, Province e Comuni.
Il punto di partenza del documento è che quel "modello italiano" che ha fatto diventare il nostro Paese un punto riferimento nello scenario internazionale in materia di tutela delle vittime di grave sfruttamento e di tratta deve essere non solo salvaguardato, ma rafforzato. Perché negli anni passati questo modello ha permesso di proteggere le persone sfruttate o vittime di tratta che decidono di uscire dal racket, proponendo loro percorsi di formazione e inserimento sociale e lavorativo. E al tempo stesso ha favorito la denuncia degli sfruttatori e ha rafforzato la collaborazione tra enti locali, associazioni, magistratura e forze dell'ordine. Mentre vietare la prostituzione in strada - come previsto nel disegno di legge - non rappresenta certo una risposta al problema, ma soltanto una misura per spostare le donne in luoghi meno accessibili agli operatori e alle forze dell'ordine
Ecco dunque i punti salienti del documento: la prostituzione non è una questione di ordine pubblico, ma una questione sociale e vietarne l'esercizio in strada è non solo inefficace, ma anche controproducente. E poiché si tratta spesso di una forma di tratta e riduzione in schiavitù devono essere fatti tutti gli sforzi possibili per dare alle vittime possibilità di affrancamento e di tutela. Inoltre, occorre offrire alternative concrete e possibilità di inclusione sociale alle persone coinvolte, dal momento che la prostituzione, soprattutto quella di strada, è esercitata spesso da persone con serie difficoltà economiche e sociali (anche donne italiane) o da persone discriminate che spesso non hanno alternative (come le transessuali). Il ddl, poi, non considera che chi si prostituisce non commette alcun reato, ma anzi è spesso vittima. Insomma, il giro di vite varato dal Governo finisce per avvantaggiare gli sfruttatori, danneggiando le vittime. Particolarmente delicata è anche la questione dei minori che si prostituiscono: perché l'articolo che ne stabilisce il rimpatrio - spiega il documento - ignora le norme internazionali che prevedono che i minori dovrebbero essere rinviati nel loro Paese di origine solo nei casi in cui tale misura corrisponde alla realizzazione del loro superiore interesse.
Tra le proposte delle organizzazioni troviamo invece - oltre a un'applicazione più incisiva della Legge Merlin, dell'articolo 18 del Testo Unico Immigrazione e della legge sulla tratta - un impegno più consistente per la formazione degli operatori che operano sul campo e la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta, che l'Italia non ha ancora ratificato. Accanto a questo il documento auspica l'attivazione di percorsi di inserimento sociale e lavorativo per le vittime, la promozione di attività di mediazione dei conflitti nei territori dove l'esercizio della prostituzione solleva problemi, la realizzazione di maggiori collegamenti con i Paesi d'origine delle vittime di tratta e la speciale salvaguardia dei minori coinvolti in attività di prostituzione. (ap)
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sabato 13 settembre 2008
martedì 19 agosto 2008
Sul consultorio di Via Chiavella a Savona
UDI
UNIONE DONNE in ITALIA
A Direttore dell’ ASL2 Savonese
Dott. Fulvio Neirotti
OGGETTO: Inagibilità Consultorio di via ChiappinoIn merito allo smottamento verificatosi in via Chiappino ( Ponente Savonese ) a causa degli scavi eseguiti per edilizia privata e che ha determinato l’inagibilità del Consultorio, dell’asilo nido e della scuola materna, l’ UDI intende unire la sua protesta a quella delle altre Associazioni e delle utenti delle strutture.
L’UDI si è da sempre impegnata per la creazione e per la conservazione di Consultori familiari e di asili indispensabili alle madri lavoratrici.
E’ quindi congeniale alla sua storia la protesta per l’ennesima ( questa volta non volontaria ) violenza contro le donne.
Usiamo la parole violenza poiché comporta la privazione per le donne residenti nel quartiere e non solo di servizi per loro fondamentali.
La struttura di via Chiappino rappresentava un’ eccellenza nei servizi sanitari ed assistenziali per donne e famiglie.
Il Consultorio, che ora è inagibile, era uno dei più grandi e moderni della Liguria con attrezzature assolutamente all’avanguardia; uno de pochi, se non l’unico, in cui a Savona si eseguissero colcoscopia e penescopia.
Nel Consultorio erano in attività una pediatra, ginecologhe, assistenti sanitarie, vigilatrici d’infanzia, ostetriche e psicologhe .
A quanto ci risulta ora questo personale è sotto utilizzato in strutture già al limite della capienza precedentemente e quindi queste operatrici non possono più svolgere con la consueta serenità e professionalità il loro servizio.
Oltre al Consultorio, vi erano nell’edificio lesionato un asilo nido e una scuola materna.
Ora i bambini iscritti e quelli ad oggi frequentanti del nido estivo sono stati spostati in altre sedi, ma con evidenti disagi per loro e per le famiglie.
Quanto durerà questa sistemazione provvisoria non è chiaro. Si parla di un periodo breve, ma il significato del “Breve” non è chiaro.
Oltre al Consultorio nell’edificio era sistemata la UOR ( Unità Operativa Riabilitativa ) con una equipe di prim’ordine composta da neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti, psicomotricisti, educatori.
Consultorio e UOR avevano un passaggio di mille utenti alla settimana.
Teniamo a sottolineare che, a differenza di quanto affermato sui giornali, al momento del crollo erano presenti nel Consultorio nove persone, sei operatori e una famiglia composta da padre, madre e bimbo.
Si può dire che veramente è stata miracolosamente evitata una strage.
Vogliamo anche sottolineare che gli abitanti del quartiere da mesi avevano messo al corrente sia le autorità sia l’impresa costruttrice della pericolosità dei lavori di scavo che si stavano eseguendo.
Ora tutta l’attrezzatura moderna e costosa è immobilizzata perché sotto sequestro e probabilmente finirà nelle mani di ladri o vandali.
Le madri, le donne bisognose di indagini preventive, le signore gravide, ma soprattutto i bambini sono assolutamente disorientati perché le nuove sedi non sono facili da raggiungere, ma soprattutto sono realtà fredde ed estranee.
Ancora una volta le richieste dei cittadini, soprattutto di quelli più fragili, sono state posposte ad altri interessi.
C’è stata una rottura del rapporto di fiducia e di affetto tra utenti ed operatori..
Noi dell’UDI, a nome delle tante donne che ci hanno interpellate, esprimiamo la nostra protesta, ma soprattutto di richiesta di trovare in tempi il più possibile brevi un edificio in grado contenere le attrezzature e di permettere agli operatori la ripresa di un servizio di eccellenza come quello che è venuto a mancare.
Chiediamo anche che il quartiere, già per molto aspetti trascurato, non venga privato di questa presenza così importante.
Se ciò non sarà provvederemo a rendere pubblica la nostra protesta attraverso i giornali e se occorre a manifestazioni in piazza.
Speriamo che ciò non sia necessario e confidando in una vostro sollecito riscontro, porgiamo distinti saluti
La Responsabile Legale
Teresa Paladin Tissone
UNIONE DONNE in ITALIA
A Direttore dell’ ASL2 Savonese
Dott. Fulvio Neirotti
OGGETTO: Inagibilità Consultorio di via ChiappinoIn merito allo smottamento verificatosi in via Chiappino ( Ponente Savonese ) a causa degli scavi eseguiti per edilizia privata e che ha determinato l’inagibilità del Consultorio, dell’asilo nido e della scuola materna, l’ UDI intende unire la sua protesta a quella delle altre Associazioni e delle utenti delle strutture.
L’UDI si è da sempre impegnata per la creazione e per la conservazione di Consultori familiari e di asili indispensabili alle madri lavoratrici.
E’ quindi congeniale alla sua storia la protesta per l’ennesima ( questa volta non volontaria ) violenza contro le donne.
Usiamo la parole violenza poiché comporta la privazione per le donne residenti nel quartiere e non solo di servizi per loro fondamentali.
La struttura di via Chiappino rappresentava un’ eccellenza nei servizi sanitari ed assistenziali per donne e famiglie.
Il Consultorio, che ora è inagibile, era uno dei più grandi e moderni della Liguria con attrezzature assolutamente all’avanguardia; uno de pochi, se non l’unico, in cui a Savona si eseguissero colcoscopia e penescopia.
Nel Consultorio erano in attività una pediatra, ginecologhe, assistenti sanitarie, vigilatrici d’infanzia, ostetriche e psicologhe .
A quanto ci risulta ora questo personale è sotto utilizzato in strutture già al limite della capienza precedentemente e quindi queste operatrici non possono più svolgere con la consueta serenità e professionalità il loro servizio.
Oltre al Consultorio, vi erano nell’edificio lesionato un asilo nido e una scuola materna.
Ora i bambini iscritti e quelli ad oggi frequentanti del nido estivo sono stati spostati in altre sedi, ma con evidenti disagi per loro e per le famiglie.
Quanto durerà questa sistemazione provvisoria non è chiaro. Si parla di un periodo breve, ma il significato del “Breve” non è chiaro.
Oltre al Consultorio nell’edificio era sistemata la UOR ( Unità Operativa Riabilitativa ) con una equipe di prim’ordine composta da neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti, psicomotricisti, educatori.
Consultorio e UOR avevano un passaggio di mille utenti alla settimana.
Teniamo a sottolineare che, a differenza di quanto affermato sui giornali, al momento del crollo erano presenti nel Consultorio nove persone, sei operatori e una famiglia composta da padre, madre e bimbo.
Si può dire che veramente è stata miracolosamente evitata una strage.
Vogliamo anche sottolineare che gli abitanti del quartiere da mesi avevano messo al corrente sia le autorità sia l’impresa costruttrice della pericolosità dei lavori di scavo che si stavano eseguendo.
Ora tutta l’attrezzatura moderna e costosa è immobilizzata perché sotto sequestro e probabilmente finirà nelle mani di ladri o vandali.
Le madri, le donne bisognose di indagini preventive, le signore gravide, ma soprattutto i bambini sono assolutamente disorientati perché le nuove sedi non sono facili da raggiungere, ma soprattutto sono realtà fredde ed estranee.
Ancora una volta le richieste dei cittadini, soprattutto di quelli più fragili, sono state posposte ad altri interessi.
C’è stata una rottura del rapporto di fiducia e di affetto tra utenti ed operatori..
Noi dell’UDI, a nome delle tante donne che ci hanno interpellate, esprimiamo la nostra protesta, ma soprattutto di richiesta di trovare in tempi il più possibile brevi un edificio in grado contenere le attrezzature e di permettere agli operatori la ripresa di un servizio di eccellenza come quello che è venuto a mancare.
Chiediamo anche che il quartiere, già per molto aspetti trascurato, non venga privato di questa presenza così importante.
Se ciò non sarà provvederemo a rendere pubblica la nostra protesta attraverso i giornali e se occorre a manifestazioni in piazza.
Speriamo che ciò non sia necessario e confidando in una vostro sollecito riscontro, porgiamo distinti saluti
La Responsabile Legale
Teresa Paladin Tissone
giovedì 7 agosto 2008
Maternità tutelata, maternità perseguitata
Un paio di settimane fa ho inviato ai quotidiani veronesi una riflessione sul caso della madre rom 'perseguitata' dalla sottosegretaria all'welfare On. Francesca Martini perchè sorpresa più volte a chiedere l'elemosina con in braccio la figlia di due mesi.
Ritengo che compito del Ministero dell'welfare sarebbe quello di offrire l'assistenza economica e sociale a tutte le madri e a tutti i bambini nei primi mesi di vita e che, probabilmente, questa donna era costretta a chiedere l'elemosina non avendo invece alcuna altra fonte di reddito.
Ma l'Italia non protegge il 'valore sociale della maternità'?
I quotidiani locali non hanno ritenuto utile questa mia riflessione, così ve la giro, sperando che in questa città 'proibizionista' rimanga qualcuno che ha voglia di tenere vivo un dibattito sui diritti e sullo stato sociale.
Grazie per l'attenzione
Titti Valpiana
La Convenzione sui diritti del fanciullo sancisce espressamente per ogni bambino e bambina il diritto a vivere liberi da condizioni di povertà e degrado. L'Italia, recependola, si è impegnata a rendere effettivi questi diritti indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dal sesso, dalla lingua parlata, dalla religione professata e dall'origine nazionale, etnica e sociale del bambino o della bambina.
In questi giorni a Verona gli ‘anatemi’ e l’attenzione di autorevoli rappresentanti, che dovrebbero, tra l’altro, rendere effettivi i diritti conculcati dalla povertà (e che spesso parlano di ‘maternità’ in toni angelicati e del tutto ideologici) si sta concentrando nel ‘perseguitare’ una madre, rea, probabilmente, d’essere povera e di non avere altra risorsa che quella della mendicità per mantenere se stessa e la propria bimba.
Ma davvero si può seriamente pensare di intervenire su un problema di questa portata, umana e sociale, partendo dalla repressione, le segnalazioni, gli inseguimenti, le denunce invece che analizzando la situazione per capire come affrontarla? Davvero basta fare il gesto eclatante di una chiamata al 113 invece che ascoltare e sostenere? Le misure repressive e propagandistiche, come abbiamo visto dal fatto che la madre è stata fermata 4 volte negli ultimi giorni e altrettante rilasciata, nemmeno scalfiscono il problema. Non sarebbe più proficuo analizzare la situazione, liberi da pregiudizi e da condanne aprioristiche, per non aggravare la situazione ventilando ipotesi di sospensione della ‘potestà genitoriale’ invece che dare un sostegno a questa genitorialità?
Innanzitutto, va chiarito, senza confusioni dovute a ignoranza o studiate ad arte che cosa dice la legge, al proposito. In Italia “mendicare in luogo pubblico o aperto al pubblico” non è reato (l’art. 670 c.p. è stato abrogato, anche se i Comuni sembrano far a gara nel promulgare ordinanze che vogliono far credere il contrario), ma lo è avvalersi per mendicare di un minore di anni quattordici o permettere che mendichi o che altri se ne avvalgano (art. 671c.p., vigente) e questo per tutelare il minore e impedire che subisca gli stimoli negativi derivanti e dipendenti dall’attività di accattonaggio. Ma la Corte di Cassazione ha più volte ribadito (sentenze nn. 2597, 11863 e altre) che l’accattonaggio da parte di un adulto con il bambino neonato in braccio non è perseguibile penalmente, proprio perché il piccolo non è utilizzato direttamente nell’accattonaggio e non è in grado di percepirne gli aspetti diseducativi, né concretizza gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli (art. 572 c.p.).
Non conosco posto più giusto per una bimba di 2 mesi che stare tra le braccia e attaccata al seno della propria madre. Se una madre chiede l’elemosina portando con sé il proprio bambino, è una madre diversa dalle altre? E’ un neonato diverso dagli altri? Perché le risposte sono diverse? Opposte? Perché sono usati due pesi e due misure, da una parte la “mistica della maternità” e la celebrazione della famiglia, dall’altra il disprezzo se questi stessi valori sono incarnati nella cultura rom? Perché spaventare e criminalizzare le madri invece di domandarci se il nostro Paese tuteli o no la maternità, tutte le maternità, e perché quelle mamme non godano di alcun sostegno economico o sociale?
Mi pongo e pongo alcune domande ai solerti amministratori della ‘sicurezza’ senza le quali anche questo come molti altri problemi reali del nostro tempo e del nostro convivere diventano o cattiva ideologia punitiva o inerzia fatalista che non affronta e risolve nulla.
1. L’Italia è uno dei paesi con il più basso tasso di natalità nel mondo; è il paese in Europa con il maggior numero di donne che diventano madri per la prima volta dopo i 40 anni. Perché le donne d’etnia rom e sinta che hanno invece un tasso di fertilità altissimo e hanno il primo figlio in età poco più che adolescenziale non sono ringraziate e aiutate, quando fanno figli?
2. Molto ci si affanna ideologicamente sull’unità della famiglia. Perché, allora, pensare come prima soluzione all’allontanamento dei figli dai genitori? (A questo, probabilmente, pensa anche il Ministro Maroni quando parla di cittadinanza ai bambini rom ‘abbandonati’, sapendo bene che non ci sono bambini rom abbandonati, ma che spesso l’autorità decreta uno ‘stato d’abbandono’ invece che cercare soluzioni di sostegno.)
3. Tutti gli psicologi sono concordi nel ribadire l’importanza del contatto tra madre e bambino nei primi mesi di vita, del tenere i bambini in braccio e vicini a se durante le varie attività. Perché questo non vale se la madre è rom?
4. I nostri bimbi nei primi mesi di vita stanno insieme alla mamma e al papà mentre lavorano. Perché criminalizzare il fatto che per alcuni genitori l'unica fonte di reddito sia l'accattonaggio, e non fare alcuno sforzo per sostenere la ricerca di una fonte di reddito adeguata alle necessità della famiglia?
5. Nel campo rom di Boscomantico la precedente amministrazione di centro-sinistra, con l’aiuto dell’associazionismo no-profit, aveva creato uno ‘spazio-mamme’ in cui le donne potevano trovare momenti di socializzazione, d’aiuto per i piccoli problemi della crescita dei bimbi, di custodia di qualità quando avevano necessità di allontanarsi. Perché le giunte ‘della sicurezza’ non creano servizi simili se non vogliono vedere neonati ai semafori, perché non favoriscono con le graduatorie l’ingresso dei bambini rom al nido?
6. La letteratura scientifica è concorde sull’importanza da ogni punto di vista dell’allattamento materno e si fatica non poco per sostenere le madri. Perché si disincentiva se la donna è rom, chiedendole di non portare il neonato con sé?
Se il nucleo familiare in cui un bambino nasce e cresce è povero, economicamente e socialmente, e non è in grado di salvaguardare e garantirne tutti i diritti -e non vi è dubbio che la povertà metta in discussione ogni diritto- non è compito della società sostenere quei bambini e quelle bambine? I bambini sinti e rom, invece, in Italia vivono in povertà, in condizioni inadeguate, isolati in campi fatiscenti: crescono, insomma, seriamente svantaggiati.
I bambini hanno bisogno di cure, non solo quelle della famiglia, ma di tutta la comunità e da parte delle istituzioni: occorrono progetti di cura, non basati sulla sostituzione della famiglia ma sull’accompagnamento.
La facile scorciatoia della criminalizzazione della madre ha conseguenze sociali e politiche drammatiche e non aiuta certo i bambini a liberarsi dalle trappole dello svantaggio.
A quella bambina in braccio va garantita la possibilità di rompere il circolo vizioso di povertà, isolamento e pregiudizio attraverso politiche sociali ed economiche preventive. Se la maternità è un valore sociale, tutte le maternità hanno diritto a un sostegno sociale ed economico.
Uno stupido intervento repressivo causa solo danni, alla madre, alla bambina, alla società.
Tiziana Valpiana
24 luglio 2008
Ritengo che compito del Ministero dell'welfare sarebbe quello di offrire l'assistenza economica e sociale a tutte le madri e a tutti i bambini nei primi mesi di vita e che, probabilmente, questa donna era costretta a chiedere l'elemosina non avendo invece alcuna altra fonte di reddito.
Ma l'Italia non protegge il 'valore sociale della maternità'?
I quotidiani locali non hanno ritenuto utile questa mia riflessione, così ve la giro, sperando che in questa città 'proibizionista' rimanga qualcuno che ha voglia di tenere vivo un dibattito sui diritti e sullo stato sociale.
Grazie per l'attenzione
Titti Valpiana
La Convenzione sui diritti del fanciullo sancisce espressamente per ogni bambino e bambina il diritto a vivere liberi da condizioni di povertà e degrado. L'Italia, recependola, si è impegnata a rendere effettivi questi diritti indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dal sesso, dalla lingua parlata, dalla religione professata e dall'origine nazionale, etnica e sociale del bambino o della bambina.
In questi giorni a Verona gli ‘anatemi’ e l’attenzione di autorevoli rappresentanti, che dovrebbero, tra l’altro, rendere effettivi i diritti conculcati dalla povertà (e che spesso parlano di ‘maternità’ in toni angelicati e del tutto ideologici) si sta concentrando nel ‘perseguitare’ una madre, rea, probabilmente, d’essere povera e di non avere altra risorsa che quella della mendicità per mantenere se stessa e la propria bimba.
Ma davvero si può seriamente pensare di intervenire su un problema di questa portata, umana e sociale, partendo dalla repressione, le segnalazioni, gli inseguimenti, le denunce invece che analizzando la situazione per capire come affrontarla? Davvero basta fare il gesto eclatante di una chiamata al 113 invece che ascoltare e sostenere? Le misure repressive e propagandistiche, come abbiamo visto dal fatto che la madre è stata fermata 4 volte negli ultimi giorni e altrettante rilasciata, nemmeno scalfiscono il problema. Non sarebbe più proficuo analizzare la situazione, liberi da pregiudizi e da condanne aprioristiche, per non aggravare la situazione ventilando ipotesi di sospensione della ‘potestà genitoriale’ invece che dare un sostegno a questa genitorialità?
Innanzitutto, va chiarito, senza confusioni dovute a ignoranza o studiate ad arte che cosa dice la legge, al proposito. In Italia “mendicare in luogo pubblico o aperto al pubblico” non è reato (l’art. 670 c.p. è stato abrogato, anche se i Comuni sembrano far a gara nel promulgare ordinanze che vogliono far credere il contrario), ma lo è avvalersi per mendicare di un minore di anni quattordici o permettere che mendichi o che altri se ne avvalgano (art. 671c.p., vigente) e questo per tutelare il minore e impedire che subisca gli stimoli negativi derivanti e dipendenti dall’attività di accattonaggio. Ma la Corte di Cassazione ha più volte ribadito (sentenze nn. 2597, 11863 e altre) che l’accattonaggio da parte di un adulto con il bambino neonato in braccio non è perseguibile penalmente, proprio perché il piccolo non è utilizzato direttamente nell’accattonaggio e non è in grado di percepirne gli aspetti diseducativi, né concretizza gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli (art. 572 c.p.).
Non conosco posto più giusto per una bimba di 2 mesi che stare tra le braccia e attaccata al seno della propria madre. Se una madre chiede l’elemosina portando con sé il proprio bambino, è una madre diversa dalle altre? E’ un neonato diverso dagli altri? Perché le risposte sono diverse? Opposte? Perché sono usati due pesi e due misure, da una parte la “mistica della maternità” e la celebrazione della famiglia, dall’altra il disprezzo se questi stessi valori sono incarnati nella cultura rom? Perché spaventare e criminalizzare le madri invece di domandarci se il nostro Paese tuteli o no la maternità, tutte le maternità, e perché quelle mamme non godano di alcun sostegno economico o sociale?
Mi pongo e pongo alcune domande ai solerti amministratori della ‘sicurezza’ senza le quali anche questo come molti altri problemi reali del nostro tempo e del nostro convivere diventano o cattiva ideologia punitiva o inerzia fatalista che non affronta e risolve nulla.
1. L’Italia è uno dei paesi con il più basso tasso di natalità nel mondo; è il paese in Europa con il maggior numero di donne che diventano madri per la prima volta dopo i 40 anni. Perché le donne d’etnia rom e sinta che hanno invece un tasso di fertilità altissimo e hanno il primo figlio in età poco più che adolescenziale non sono ringraziate e aiutate, quando fanno figli?
2. Molto ci si affanna ideologicamente sull’unità della famiglia. Perché, allora, pensare come prima soluzione all’allontanamento dei figli dai genitori? (A questo, probabilmente, pensa anche il Ministro Maroni quando parla di cittadinanza ai bambini rom ‘abbandonati’, sapendo bene che non ci sono bambini rom abbandonati, ma che spesso l’autorità decreta uno ‘stato d’abbandono’ invece che cercare soluzioni di sostegno.)
3. Tutti gli psicologi sono concordi nel ribadire l’importanza del contatto tra madre e bambino nei primi mesi di vita, del tenere i bambini in braccio e vicini a se durante le varie attività. Perché questo non vale se la madre è rom?
4. I nostri bimbi nei primi mesi di vita stanno insieme alla mamma e al papà mentre lavorano. Perché criminalizzare il fatto che per alcuni genitori l'unica fonte di reddito sia l'accattonaggio, e non fare alcuno sforzo per sostenere la ricerca di una fonte di reddito adeguata alle necessità della famiglia?
5. Nel campo rom di Boscomantico la precedente amministrazione di centro-sinistra, con l’aiuto dell’associazionismo no-profit, aveva creato uno ‘spazio-mamme’ in cui le donne potevano trovare momenti di socializzazione, d’aiuto per i piccoli problemi della crescita dei bimbi, di custodia di qualità quando avevano necessità di allontanarsi. Perché le giunte ‘della sicurezza’ non creano servizi simili se non vogliono vedere neonati ai semafori, perché non favoriscono con le graduatorie l’ingresso dei bambini rom al nido?
6. La letteratura scientifica è concorde sull’importanza da ogni punto di vista dell’allattamento materno e si fatica non poco per sostenere le madri. Perché si disincentiva se la donna è rom, chiedendole di non portare il neonato con sé?
Se il nucleo familiare in cui un bambino nasce e cresce è povero, economicamente e socialmente, e non è in grado di salvaguardare e garantirne tutti i diritti -e non vi è dubbio che la povertà metta in discussione ogni diritto- non è compito della società sostenere quei bambini e quelle bambine? I bambini sinti e rom, invece, in Italia vivono in povertà, in condizioni inadeguate, isolati in campi fatiscenti: crescono, insomma, seriamente svantaggiati.
I bambini hanno bisogno di cure, non solo quelle della famiglia, ma di tutta la comunità e da parte delle istituzioni: occorrono progetti di cura, non basati sulla sostituzione della famiglia ma sull’accompagnamento.
La facile scorciatoia della criminalizzazione della madre ha conseguenze sociali e politiche drammatiche e non aiuta certo i bambini a liberarsi dalle trappole dello svantaggio.
A quella bambina in braccio va garantita la possibilità di rompere il circolo vizioso di povertà, isolamento e pregiudizio attraverso politiche sociali ed economiche preventive. Se la maternità è un valore sociale, tutte le maternità hanno diritto a un sostegno sociale ed economico.
Uno stupido intervento repressivo causa solo danni, alla madre, alla bambina, alla società.
Tiziana Valpiana
24 luglio 2008
venerdì 1 agosto 2008
Da "La riccheza delle nazioni" di Adam Smith
Vi segnalo qui la traduzione messa a disposizione da Flavio Filini del primo capitolo del libro di cui sopra. Oltre che interessanti riferimenti alle parrocchie e ai loro funzionari, il capitolo discute dei problemi di immigrazione, con una prospettiva interessante.
Vero che smith si preoccupa di libero mercato, ma l'analisi ha diversi risvolti.
Vero che smith si preoccupa di libero mercato, ma l'analisi ha diversi risvolti.
giovedì 24 luglio 2008
I Compagni hanno la testa dura
Da Domenico Maglio ricevo e volentieri pubblico
I “compagni” hanno proprio la testa dura!
…ma il PD deve darsi una scrollata…..
Tutti “nello schieramento avverso al centro destra” parlano di emergenza democratica, di pericolo per le Istituzioni, di un governo muscolare, di prevaricazione dei diritti delle persone, di arroganza del potere e tutte queste belle cose che si leggono sui giornali ogni giorno oramai da aprile scorso.
In effetti chi scrive lo diceva già da qualche anno e ahimè il suo realizzarsi oggi non da alcuna soddisfazione.
Ma indipendentemente dalla condivisione di tali dichiarazioni, mi sembra che non si sia ancora capito bene dove stiamo andando a parare, e ciò è molto strano visto che i delegati eletti, o meglio nominati coattivamente, dovrebbero essere i primi a comprendere e indirizzare l’inizio di un percorso alternativo, riformista, socialdemocratico, progressista, ognuno scelga a suo piacimento tra l’inflazione di aggettivi che circolano da qualche anno in qua.
Soprattutto parrebbe che non si sia messo a fuoco bene cosa serve e non credo sia necessario essere politologi esperti per afferrare l’importanza del momento che sta attraversando il nostro paese e per capire.
Io credo al contrario che invece lo si sia capito benissimo ma si cerchi a tutti i costi di evitare di essere tagliati fuori dalle stanze del potere, anche piccolo che si può ottenere nelle amministrazioni locali sventolando qualche vecchia bandiera e urlando qualche slogan piuttosto superato.
Soprattutto questo succede alla “sinistra alla mia sinistra”, che guardo con affetto ma anche con qualche preoccupazione e più spesso con incredulità.
La parola d’ordine in quest’area da un po è la ricerca “dell’unità della sinistra”, bene, ma io domando “quale sinistra”?
E per fare cosa? Per avere un gruppetto alla ricerca di spiccioli di consenso che permetta di contrattare qualche assessore? E per ottenere che cosa oltre alla gratificazione economica di un qualche singolo?
Ora, proprio per l’affetto che mi lega a questa sinistra, io vorrei che la smettesse una buona volta di evocare tempi andati, e iniziasse a guardare con gli occhi di oggi le criticità del nostro tempo, perché solo così riuscirà a far vivere quegli ideali storici che sono alla base della sua dottrina originaria.
Le politiche possono essere indirizzate stando dentro il sistema e non fuori.
“L’unità a sinistra” è un’utopia, è irrealizzabile nei termini in cui viene proposta, non esistono ad oggi le condizioni politiche per il suo compimento ma non esisterebbero neppure le condizioni di consenso, senza contare la vetustà di proposte oggi francamente irrealizzabili, senza contare che una parte di questa sinistra dichiara di voler restare forza di opposizione ad eternum mentre un’altra invece aspira al governo, e già questo sarebbe un buon motivo che dimostra l’impraticabilità di una qualsiasi via unitaria.
Ma non basta ancora, perché esiste un’altra parte di sinistra, più moderata, più socialdemocratica come si definisce, un movimento, come si definisce, che a forza si vorrebbe inserire dentro questa “unità”, una sinistra che non ha compiuto il passo nel PD ma che non ha nessuna intenzione di fare una unità radicale di questo tipo perché contraddirebbe se stessa e tutto quanto va predicando da un pò di anni a questa parte.
E allora? Dov’è questa illusoria “unità a sinistra”? Chi la fa?
Se questa sinistra si è prima divisa lo ha fatto certamente dopo aver valutato l’impossibilità di restare insieme per diversità programmatiche, ideologiche, di strategia politica quindi a meno che prima queste stesse diversità non siano state parole al vento c’è da presumere che tali divergenze ancora oggi esistano.
L’unità che oggi si vuole invece resuscitare a cosa mira allora?
Qualcuno dice che sia un’operazione per poter ottenere una qualche rappresentanza nei vari Enti locali che i numeri dei singoli partiti non potrebbero ottenere.
Sinceramente non so se questo corrisponda al vero, ma non c’è dubbio che singolarmente l’obiettivo sarebbe difficilmente raggiungibile.
Io credo che per la sinistra ci sia invece un’altra strada, anzi forse l’unica strada percorribile e l’essere di sinistra significa proprio questo, essere convinti che esista sempre una seconda soluzione, un’alternativa a una società che ci sembra ingiusta e che vogliamo migliorare, per il bene comune.
Qui sta il punto di questa sinistra, il bene comune, il bene pubblico, la responsabilità verso gli altri, verso la comunità intera.
Questo sacrificio per il bene comune necessità di un cambiamento repentino di indirizzo e di linea politica, ma quando si vuole riunire i residui sparpagliati ovunque restando comunque ininfluenti e minoritari mi domando questo senso di responsabilità verso il nostro paese dove sia andato a finire e se non si spieghi se non con l’avvallo di quanto si mormora, la ricerca della prebenda personale.
Io penso che non sia importante ottenere un consigliere quà e là solo per far vedere che ci si siede al tavolo delle trattative, penso che sia importante invece circoscrivere il fosco orizzonte verso il quale l’Italia sta precipitando, e lo si potrà fare con senso di responsabilità di tutti coloro che tale prospettiva vogliono arginare, e non per mettersi contro qualcuno ma per costruire qualcosa di meglio.
Per la sinistra “che vuole unirsi” non credo esista un futuro se questa sarà la strada che vorrà percorrere, ma al contrario penso che sia una strada senza uscita, un’inutile protrarsi agonizzante, dato che non potranno nascere accordi elettorali futuri come in passato già respinti all’ultima tornata elettorale.
Quale l’alternativa?
E’ su questa capacità di realizzarla che si misureranno gli spessori della sinistra italiana, la cui maggioranza non sta certo nella sua espressione più radicale, ma nell’altra, quella riformista nonostante le sue note situazioni implosive.
Io penso che “ a sinistra” si debbano fare alcuni passi imprescindibili.
La sinistra più radicale eviti di gettarsi alla ricerca di percorsi comuni al suo interno che non troverà e che rischiano di fomentare nuove fratture e inizi a mettersi sull’unica strada che porta al governo dei più grandi paesi europei, la strada della socialdemocrazia e del riformismo, perché è questa e nessun altra la sinistra che è salita alla guida dei governi.
Se qualcuno conosce situazioni diverse le renda note.
La sinistra più moderata, più riformista si dia un’organizzazione più definita, evitando di stimolare nell’opinione pubblica la situazione di incertezza e di precarietà che la sta investendo, inizi ad essere un partito vero e non provvisorio come da l’impressione di essere, costerà qualche sacrificio “interno” ma credo ne valga la pena.
Su entrambe le cose dette esistono ostacoli, ma bisogna far di tutto per rimuoverli se si vuole uscire dall’impasse politico ed essere pronti per il futuro.
Per la sinistra radicale significa non sconfessare una lunga storia, ma al contrario portare a compimento “il partito nuovo”, anche se so bene che molti che si professano comunisti non sanno neppure di cosa si tratta e che invito ad andarsi a rileggere, potranno capire molte cose da quella lettura e forse apriranno finalmente gli occhi su un’evoluzione politica della sinistra italiana che oggi gli è ignota.
E’ un passo importante che non credo eviterà ulteriori e inevitabili fratture, ma d’altronde uno zero virgola in più o in meno non sposterà granchè il suo peso politico già da prefisso telefonico.
Per la sinistra riformista, per il PD, perché tale vuole essere anche se definirsi oggi così reca dentro e fuori mal di pancia a qualcuno, il diventare partito vero comporterà anche qui qualche mugugno dal “popolo delle primarie”, mugugni già esistenti e in aumento con abbandoni clamorosi anche se penso in fondo non inaspettati, ma questo popolo che ha contribuito con volontà e impegno alla sua nascita penso debba comprendere che non è possibile riunire un’assemblea ad ogni batter di ciglia, un partito non è un’Associazione, ha forme definite di rappresentanza, gruppi dirigenti, parla con una voce sola, e se non riuscirà a darsi una struttura organica e certa sarà difficile che possa accreditarsi verso altre forze politiche come polo calamitante, ma verrà visto come un rassemblement non proprio affidabile.
Questi due passi vano fatti in concomitanza, nei loro tempi, ognuno in casa sua come si dice, senza frenesia, ma contemporaneamente in un arco temporale opportuno.
Bisogna capire anche che un blocco riformista deve avere un programma riformista, non può averne nessun altro, anche se questo programma in alcune scelte potrebbe sembrare impopolare, e su questo è necessario costruire e quindi convergere, ma deve essere un tutt’uno, e non un’aggregazione federativa momentanea o di alleanza che oggi c’è e domani no, tutti devono concorrere dentro questo blocco in maniera organica, con le loro posizioni moderate, radicali, laiche, cattoliche, associative, mantenendo anche la loro piena autonomia, ma devono essere insieme e non slegati e divisi da simboli e bandiere.
Un grande blocco progressista che sia maggioritario in Italia e dia il suo contributo forte in Europa, variegato al suo interno ma unito organicamente sotto un unico obiettivo, fare il bene del nostro paese.
Questa è l’alternativa all’oggi per arrivare pronti al domani.
In realtà arrivare in fondo a questo processo non sarà semplice proprio perché ancora coloro che potrebbero farne parte restano – con ragione o a torto – ancora legati a vecchi schemi forse non più attuali, oppure guardano a restare una specie di ago della bilancia che gli può permettere una contrattazione.
Inviterei comunque tutti coloro che in un modo o nell’altro si definiscono “di sinistra” a ripescare i giornali del dopo elezioni, quelle di aprile 2008, dove venivano dipinte di rosso e di blu le varie rappresentanze territoriali, rosso al centro sinistra e blu al centro destra.
Basta guardare quei colori per capire che alternative da realizzare non ce ne sono.
Maglio Domenico
Azione Riformista – Savona -
I “compagni” hanno proprio la testa dura!
…ma il PD deve darsi una scrollata…..
Tutti “nello schieramento avverso al centro destra” parlano di emergenza democratica, di pericolo per le Istituzioni, di un governo muscolare, di prevaricazione dei diritti delle persone, di arroganza del potere e tutte queste belle cose che si leggono sui giornali ogni giorno oramai da aprile scorso.
In effetti chi scrive lo diceva già da qualche anno e ahimè il suo realizzarsi oggi non da alcuna soddisfazione.
Ma indipendentemente dalla condivisione di tali dichiarazioni, mi sembra che non si sia ancora capito bene dove stiamo andando a parare, e ciò è molto strano visto che i delegati eletti, o meglio nominati coattivamente, dovrebbero essere i primi a comprendere e indirizzare l’inizio di un percorso alternativo, riformista, socialdemocratico, progressista, ognuno scelga a suo piacimento tra l’inflazione di aggettivi che circolano da qualche anno in qua.
Soprattutto parrebbe che non si sia messo a fuoco bene cosa serve e non credo sia necessario essere politologi esperti per afferrare l’importanza del momento che sta attraversando il nostro paese e per capire.
Io credo al contrario che invece lo si sia capito benissimo ma si cerchi a tutti i costi di evitare di essere tagliati fuori dalle stanze del potere, anche piccolo che si può ottenere nelle amministrazioni locali sventolando qualche vecchia bandiera e urlando qualche slogan piuttosto superato.
Soprattutto questo succede alla “sinistra alla mia sinistra”, che guardo con affetto ma anche con qualche preoccupazione e più spesso con incredulità.
La parola d’ordine in quest’area da un po è la ricerca “dell’unità della sinistra”, bene, ma io domando “quale sinistra”?
E per fare cosa? Per avere un gruppetto alla ricerca di spiccioli di consenso che permetta di contrattare qualche assessore? E per ottenere che cosa oltre alla gratificazione economica di un qualche singolo?
Ora, proprio per l’affetto che mi lega a questa sinistra, io vorrei che la smettesse una buona volta di evocare tempi andati, e iniziasse a guardare con gli occhi di oggi le criticità del nostro tempo, perché solo così riuscirà a far vivere quegli ideali storici che sono alla base della sua dottrina originaria.
Le politiche possono essere indirizzate stando dentro il sistema e non fuori.
“L’unità a sinistra” è un’utopia, è irrealizzabile nei termini in cui viene proposta, non esistono ad oggi le condizioni politiche per il suo compimento ma non esisterebbero neppure le condizioni di consenso, senza contare la vetustà di proposte oggi francamente irrealizzabili, senza contare che una parte di questa sinistra dichiara di voler restare forza di opposizione ad eternum mentre un’altra invece aspira al governo, e già questo sarebbe un buon motivo che dimostra l’impraticabilità di una qualsiasi via unitaria.
Ma non basta ancora, perché esiste un’altra parte di sinistra, più moderata, più socialdemocratica come si definisce, un movimento, come si definisce, che a forza si vorrebbe inserire dentro questa “unità”, una sinistra che non ha compiuto il passo nel PD ma che non ha nessuna intenzione di fare una unità radicale di questo tipo perché contraddirebbe se stessa e tutto quanto va predicando da un pò di anni a questa parte.
E allora? Dov’è questa illusoria “unità a sinistra”? Chi la fa?
Se questa sinistra si è prima divisa lo ha fatto certamente dopo aver valutato l’impossibilità di restare insieme per diversità programmatiche, ideologiche, di strategia politica quindi a meno che prima queste stesse diversità non siano state parole al vento c’è da presumere che tali divergenze ancora oggi esistano.
L’unità che oggi si vuole invece resuscitare a cosa mira allora?
Qualcuno dice che sia un’operazione per poter ottenere una qualche rappresentanza nei vari Enti locali che i numeri dei singoli partiti non potrebbero ottenere.
Sinceramente non so se questo corrisponda al vero, ma non c’è dubbio che singolarmente l’obiettivo sarebbe difficilmente raggiungibile.
Io credo che per la sinistra ci sia invece un’altra strada, anzi forse l’unica strada percorribile e l’essere di sinistra significa proprio questo, essere convinti che esista sempre una seconda soluzione, un’alternativa a una società che ci sembra ingiusta e che vogliamo migliorare, per il bene comune.
Qui sta il punto di questa sinistra, il bene comune, il bene pubblico, la responsabilità verso gli altri, verso la comunità intera.
Questo sacrificio per il bene comune necessità di un cambiamento repentino di indirizzo e di linea politica, ma quando si vuole riunire i residui sparpagliati ovunque restando comunque ininfluenti e minoritari mi domando questo senso di responsabilità verso il nostro paese dove sia andato a finire e se non si spieghi se non con l’avvallo di quanto si mormora, la ricerca della prebenda personale.
Io penso che non sia importante ottenere un consigliere quà e là solo per far vedere che ci si siede al tavolo delle trattative, penso che sia importante invece circoscrivere il fosco orizzonte verso il quale l’Italia sta precipitando, e lo si potrà fare con senso di responsabilità di tutti coloro che tale prospettiva vogliono arginare, e non per mettersi contro qualcuno ma per costruire qualcosa di meglio.
Per la sinistra “che vuole unirsi” non credo esista un futuro se questa sarà la strada che vorrà percorrere, ma al contrario penso che sia una strada senza uscita, un’inutile protrarsi agonizzante, dato che non potranno nascere accordi elettorali futuri come in passato già respinti all’ultima tornata elettorale.
Quale l’alternativa?
E’ su questa capacità di realizzarla che si misureranno gli spessori della sinistra italiana, la cui maggioranza non sta certo nella sua espressione più radicale, ma nell’altra, quella riformista nonostante le sue note situazioni implosive.
Io penso che “ a sinistra” si debbano fare alcuni passi imprescindibili.
La sinistra più radicale eviti di gettarsi alla ricerca di percorsi comuni al suo interno che non troverà e che rischiano di fomentare nuove fratture e inizi a mettersi sull’unica strada che porta al governo dei più grandi paesi europei, la strada della socialdemocrazia e del riformismo, perché è questa e nessun altra la sinistra che è salita alla guida dei governi.
Se qualcuno conosce situazioni diverse le renda note.
La sinistra più moderata, più riformista si dia un’organizzazione più definita, evitando di stimolare nell’opinione pubblica la situazione di incertezza e di precarietà che la sta investendo, inizi ad essere un partito vero e non provvisorio come da l’impressione di essere, costerà qualche sacrificio “interno” ma credo ne valga la pena.
Su entrambe le cose dette esistono ostacoli, ma bisogna far di tutto per rimuoverli se si vuole uscire dall’impasse politico ed essere pronti per il futuro.
Per la sinistra radicale significa non sconfessare una lunga storia, ma al contrario portare a compimento “il partito nuovo”, anche se so bene che molti che si professano comunisti non sanno neppure di cosa si tratta e che invito ad andarsi a rileggere, potranno capire molte cose da quella lettura e forse apriranno finalmente gli occhi su un’evoluzione politica della sinistra italiana che oggi gli è ignota.
E’ un passo importante che non credo eviterà ulteriori e inevitabili fratture, ma d’altronde uno zero virgola in più o in meno non sposterà granchè il suo peso politico già da prefisso telefonico.
Per la sinistra riformista, per il PD, perché tale vuole essere anche se definirsi oggi così reca dentro e fuori mal di pancia a qualcuno, il diventare partito vero comporterà anche qui qualche mugugno dal “popolo delle primarie”, mugugni già esistenti e in aumento con abbandoni clamorosi anche se penso in fondo non inaspettati, ma questo popolo che ha contribuito con volontà e impegno alla sua nascita penso debba comprendere che non è possibile riunire un’assemblea ad ogni batter di ciglia, un partito non è un’Associazione, ha forme definite di rappresentanza, gruppi dirigenti, parla con una voce sola, e se non riuscirà a darsi una struttura organica e certa sarà difficile che possa accreditarsi verso altre forze politiche come polo calamitante, ma verrà visto come un rassemblement non proprio affidabile.
Questi due passi vano fatti in concomitanza, nei loro tempi, ognuno in casa sua come si dice, senza frenesia, ma contemporaneamente in un arco temporale opportuno.
Bisogna capire anche che un blocco riformista deve avere un programma riformista, non può averne nessun altro, anche se questo programma in alcune scelte potrebbe sembrare impopolare, e su questo è necessario costruire e quindi convergere, ma deve essere un tutt’uno, e non un’aggregazione federativa momentanea o di alleanza che oggi c’è e domani no, tutti devono concorrere dentro questo blocco in maniera organica, con le loro posizioni moderate, radicali, laiche, cattoliche, associative, mantenendo anche la loro piena autonomia, ma devono essere insieme e non slegati e divisi da simboli e bandiere.
Un grande blocco progressista che sia maggioritario in Italia e dia il suo contributo forte in Europa, variegato al suo interno ma unito organicamente sotto un unico obiettivo, fare il bene del nostro paese.
Questa è l’alternativa all’oggi per arrivare pronti al domani.
In realtà arrivare in fondo a questo processo non sarà semplice proprio perché ancora coloro che potrebbero farne parte restano – con ragione o a torto – ancora legati a vecchi schemi forse non più attuali, oppure guardano a restare una specie di ago della bilancia che gli può permettere una contrattazione.
Inviterei comunque tutti coloro che in un modo o nell’altro si definiscono “di sinistra” a ripescare i giornali del dopo elezioni, quelle di aprile 2008, dove venivano dipinte di rosso e di blu le varie rappresentanze territoriali, rosso al centro sinistra e blu al centro destra.
Basta guardare quei colori per capire che alternative da realizzare non ce ne sono.
Maglio Domenico
Azione Riformista – Savona -
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